...questo blog in realtà è soltanto una strada del viaggio ...e questo è già tanto ... prima o poi nelle strade ci si incontra, anche se non sempre ci si saluta... e che importa! ...bastano anche gli sguardi...
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"Appuntamento alla Goulette" e "kif kif - siciliani di Tunisia" a ROMA
"Appuntamento alla Goulette" il libro di Franco Blandi e "kif kif - siciliani di Tunisia", il cortometraggio di Enrico Montalbano e Laura Verduci:
Università LA SAPIENZA 24 maggio 2012
FINANZIA IL PROGETTO VENTO (per la realizzazione di un documentario tra Tunisia e Sicilia) su EPPELA, cliccando su questo link:
http://www.eppela.com/ita/projects/198/vento-progetto-per-un-documentario-tra-sicilia-e-tunisia
oppure vai su:
www.filmvento.blogspot.it
www.facebook.com/progettovento
VENTO: Anteprima del videoclip "Viaggi di sabbia" d...i G...
VENTO: Anteprima del videoclip "Viaggi di sabbia" d...i G...: PRESENTAZIONE NUOVO DISCO DI GENTE STRANA POSSE E PROGETTO VENTO Palermo @ BandaRadio p.tta dell'Origl ione n.1 (Ballarò) domen...
19 maggio 2012
18 maggio 2012
siciliamigranti: Report visita CIE Serraino Vulpitta 11 Maggio 2012...
siciliamigranti: Report visita CIE Serraino Vulpitta 11 Maggio 2012...: Report di Laura Verduci L’Europarlamentare Alessandra Siragusa insieme a Laura Verduci e Alessio Genovese in qualità di assistenti sono e...
03 maggio 2012
28 aprile 2012
Appuntamento a La Goulette. Assenze senza ritorno...: Calendario delle presentazioni del Libro Date conf...
Appuntamento a La Goulette. Assenze senza ritorno...: Calendario delle presentazioni del Libro
Date conf...: Calendario delle presentazioni del Libro Date confermate: Sant'Agata Militello (ME) domenica 20 maggio , alle ore 18.30 presso il salon...
Date conf...: Calendario delle presentazioni del Libro Date confermate: Sant'Agata Militello (ME) domenica 20 maggio , alle ore 18.30 presso il salon...
26 aprile 2012
VENTO: Valutazione della Giuria del Concorso Video Memo...
VENTO:
Valutazione della Giuria del Concorso Video Memo...: Valutazione della Giuria del Concorso Video Memorie Migranti: Valutazione della Giuria del Concorso Video Memorie Migranti: "At...
Valutazione della Giuria del Concorso Video Memo...: Valutazione della Giuria del Concorso Video Memorie Migranti: Valutazione della Giuria del Concorso Video Memorie Migranti: "At...
15 marzo 2012
13 marzo 2012
16 febbraio 2012
DIARIO numero due: viaggio nella memoria migrante siciliana
DIARIO numero due: viaggio nella memoria migrante
siciliana
Ricerca e percorsi per un documentario.
Dopo essere
rientrati da SHOUSHA CAMP a Tunisi a notte fonda o se preferite nelle prime ore
del mattino del 9 febbraio, e dopo esserci concessi una giornata di rilassamento
e comprensione minima della città di Tunis, decidiamo che dall’indomani avremmo
cominciato l’altro dei due viaggi cui accennavo nel precedente diario: sulle
tracce di vite vissute da alcune famiglie siciliane.
09-02-2012
Partiamo per alcuni
villaggi. Li hanno vissuto e lavorato decine di famiglie, partite all’inizio del secolo 1900. Perlopiù
siciliani che avevano lavorato per conto di padroni francesi e poi successivamente,
con grande fatica e sudore, per conto proprio. Nei primi anni ‘60 del novecento
costretti a restituire le terre al governo tunisino, dopo la proclamazione
dell’indipendenza.
Malgrado molto sia
stato cancellato di quella storia qualcosa
scorgiamo lungo la via. Bisogna comunque farci caso o seguire gli appunti delle
letture.
Entriamo in uno di
questi. È un villaggio. Come tanti che incontri nelle strade secondarie e nelle
vie lunghe che tagliano la Tunisia, una volta abbandonata l’autostrada.
Un villaggio
povero. Tipico di botteghe minuscole,
antiche e vecchie, piene di odori speziati.
Entriamo in una
zona dove hanno costruito case più recenti in mezzo la campagna di fango e
resti di spazzatura disseminata dovunque. Entriamo li dopo aver chiesto
informazioni sulla comunità siciliana ad una vecchia contadina ai bordi della
strada che taglia in due il villaggio e che taglia in due altri posti più
avanti. Sembra che nessuno si ricordi di questa presenza. Ma la contadina ci
indica una strada che porta ad alcune vecchie abitazioni.
Seguiamo qualche
metro più avanti e chiediamo ad altri. Finalmente un ragazzo sa qualcosa e ci
guida fino ad una casa. Una di quelle che cercavamo. L’architettura colonica.
Sembra essere stata di qualcuno che stava economicamente bene. Tutto intorno
altre case nel fango e asini, galline e pecore.
Il ragazzo parla
arabo. Pochissimo francese. Laura conosce un po’ di arabo e parla con lui, che
continua a guidarci intorno. Nella parte bassa della casa a due livelli, con
una scala centrale e un passa mano stile coloniale, abita una antichissima
donna. Una centenaria in abiti tradizionali. Ci guarda. Le stringiamo la mano. Poi cominciamo a
parlare con lei, grazie alla nostra guida improvvisata. Lei, il ragazzo e la
gente che incontriamo è incredibilmente gentile e ospitale. La vecchia si
ricorda tanto. Dei francesi, per cui lavorava, e pure degli italiani. Ha un
volto di mille anni fa. Io la filmo e lei racconta. Tra questi difficili
passaggi tra italiano, francese e arabo riusciamo a cogliere molto. Poi la
salutiamo e proseguiamo un po’ a zonzo.
Una famiglia esce
fuori da una casa con la porta aperta, come tante altre. I bambini ci vengono
incontro e le madri dietro. Sono curiosi tutti. Ci invitano subito a prendere
un “caua” (caffè). Entriamo dentro una casa molto povera. Pochissimi oggetti e
le mura impregnate di umidità. Quella che fa male a tutta la famiglia, dice la
mamma, e che provoca asma. I bambini tutti raffreddati giocano con noi.
Prendiamo il caffè nell’unica stanza più arredata, con i divani intorno alle
pareti e il tappeto ma senza corrente elettrica. Tentiamo di parlare con loro
che ci parlano in arabo. La comunicazione è fluida.
Salutiamo anche
loro e continuiamo a perlustrare quel territorio. Cerchiamo la casa di una amica
nata in Tunisia e vissuta lì fino alla fine degli anni cinquanta.
Sappiamo che dobbiamo
cercare LE FERME italiane, le fattorie di quel tempo. Abbiamo delle
indicazioni.
Ci addentriamo in
alcuni sentieri.
Ci fermiamo a
parlare con altri contadini, che poco ricordano ma che ci invitano a prendere
un the o un caffè nelle loro case. Dobbiamo proseguire comunque ma li
ringraziamo. Ritorniamo sulla strada principale e ancora una volta rientriamo
dentro la campagna seguendo una strada di fango.
Ai nostri occhi
appare un mondo rurale e povero perlopiù.
Improvvisamente la
strada prende varie direzioni. Una ci colpisce. In alto una fattoria di pastori
e contadini. Le mura di recinzione bianche. Una casa araba. Improvvisamente
correndo un pastore lascia le sue pecore
e viene verso di noi ridendo e accogliendoci. “Marhaban” –ci dice- Benvenuti. Chiediamo
anche a lui informazioni sulle famiglie siciliane. Non sa niente ma chiama suo
fratello, guidandoci verso l’ingresso della fattoria. Arrivano il fratello e il
resto della famiglia, con la quale stabiliamo un’immediata empatia. Lui, Amor,
parla arabo e inglese, poco francese. Sa qualcosa e ci guida verso una zona.
Viene in macchina con noi. Entriamo in zone interne e di fango, dove rischiamo
di restare intrappolati. Non si può continuare e si torna indietro. Dobbiamo
prendere altre vie migliori. Lui ci farà da guida per almeno un paio di ore.
Giungiamo in case e fattorie povere dove ci vengono incontro pastori, nonne,
galline e cani. Sguardi e baci sono la comunicazione. Poi Amor spiega cosa
cerchiamo. Ci dicono di andare in fondo dove si scorge in lontananza un’altra
casa. Sembra che ci abitassero degli italiani. Nel frattempo chiamo al telefono
in Italia la mia amica scrittrice nata e vissuta li, per capire se ci troviamo
nel posto giusto. Mi dice che forse siamo vicini. Non si può comunque
proseguire in macchina. Si va a piedi. Io, Laura e Amor. Arriviamo in un
uliveto. Sembra la Sicilia. In cima, una casa araba e un ‘altra che sembra più
siciliana. Il pastore che ci viene incontro ci fa filmare qualche attimo ma è
preoccupato che il padre non sia d’accordo. Ci consiglia di andar via. Siamo
contenti comunque. Lo salutiamo. Si è fatta sera e dobbiamo tornare. Amor ci
invita ad andare da lui, nella fattoria bianca dove l’avevamo incontrato.
Un’accoglienza
straordinaria: un atteggiamento, modi di fare che disconosciamo o che abbiamo
dimenticato. Prendiamo un caffè. Una casa semplice ma molto aperta. Un baglio
interno e le stanze tutt’intorno. Ci togliamo le scarpe e ci sediamo su alcuni
cuscini semplici, adagiati a terra.
Ci sono ragazzini e
bimbi. Giochiamo con loro. Gli mostro i filmati registrati. Poi uno di loro esce
e subito dopo rientra lanciando verso di noi un tacchino bellissimo, che
impaurito gironzola nella stanza. Ci dicono: restate a cena, lo ammazziamo per
voi. Siamo colpiti e affatto abituati. Ridiamo e tutti ridono. Ma non possiamo
accettare. Dobbiamo comunque rientrare a Tunis per altri incontri già fissati. Andiamo
via con la promessa di tornare da lì a pochi giorni. Riprendiamo il viaggio.
11-02-2012
Viaggio verso la
regione di Grombalia, a sud-est di Tunis.
Cerchiamo anche in
questo viaggio dei villaggi segnati da alcune mappe, dove hanno vissuto
famiglie siciliane, contadini che si occupavano di vigne e poi diventati anche
produttori di vino.
Dopo essere entrati
a Grombalia e aver chiesto informazioni, ci dirigiamo verso alcuni villaggi in
cui sappiamo di trovare segni di quella migrazione.
Dopo aver girato e
rigirato per rotonde, avanti e indietro, e dopo aver chiesto ulteriori
informazioni di una memoria che sembra molto evanescente, riusciamo a trovare
la via. Entriamo in un villaggio rurale e antico. Subito all’ingresso notiamo
delle case fatiscenti ai lati della strada che sembrano quelle che conosciamo
dalle fotografie storiche che abbiamo con noi. Sono quelle. La conferma arriva
da Mohammed, il padrone del caffè vecchio e povero, che sbuca fuori dopo la
nostra sosta al centro del paesino.
È simpatico,
curioso della nostra ricerca e sembra sapere molte cose. Ci guida nel
piccolissimo villaggio. Dietro il suo caffè infatti si trova la vecchia cava
per il vino, di una famiglia italiana che lo produceva e la chiesa cristiana
diroccata, costruita dai francesi, come tante in tanti altri villaggi. Una
bella architettura rurale. Di fronte ad essa
la vecchia scuola francese, ancora funzionante. Mohammed bussa alla porta e ci
apre il direttore in ciabatte. Dopo un secondo siamo già dentro. La famiglia ci
accoglie. Sono loro il corpo scolastico. Ci sono due classi: una più antica con
banchi che sembrano volti rugosi, risalenti almeno agli anni '50 e le vecchie
lavagne verdi. Poi l’altra, quella nuova, con i computer di ultima generazione.
Arriva il caffè
aromatizzato alla zagara e i biscotti. Sono gentili. Arriva pure il custode,
che scherzosamente dicono essere il vero capo.
Niente di nuovo per noi siciliani.
Ripartiamo salutando
tutti. Ho filmato anche lì.
Riprendiamo una
strada principale. Lungo queste vie si scorgono palazzine coloniali francesi di
rara bellezza, simbolo anche di potere locale, immaginiamo. Oggi sono abitate
da contadini che sembrano sconoscere quella storia e comunque non subire il
fascino che subiamo noi. Accanto la piccola fattoria con pecore e galline e
qualche mucca. Questi contadini sono sempre gentilissimi e continuano invitarci
a prendere qualcosa da bere.
Altre strade e
villaggi portano segni di questi passaggi siciliani, oltre che francesi
naturalmente.
Ne scoviamo altre.
12-02-2012
Dal ritorno da
Shousha Camp, il nostro punto fisso è la casa Di Fausto Giudice a Tunisi. Un
intellettuale eclettico, un giornalista, membro di una rete internazionale di
traduttori e che sta creando una casa editrice a Tunisi. Viviamo a casa sua.
Sembra abbia avuto mille vite. Laura lo aveva conosciuto in uno dei suoi
recenti viaggi in Tunisia. La sua storia, quella della sua famiglia è una
storia di emigrazione. I suoi nonni arrivarono dalla Sicilia in Tunisia in
barcone.
Con lui registriamo
una lunga intervista nel suo soggiorno e che monteremo presto in un trailer,
che farà da apri pista al progetto-documentario.
L’incontro con
Fausto apre a tante visioni sull’immigrazione e sulla vita.
13-02-2012
Con Fausto Giudice
, la mattina successiva, facciamo un tour nel centro di Tunisi, addentrandoci
nel mercato di “Bab el Kadrha”. Poi in auto verso LA Goulette, il porto di
Tunisi, simbolo dell’immigrazione siciliana vicino la capitale, oggi molto
trasformata da un ammodernamento voluto da Ben Ali. Naturalmente anche qui,
nella parte vecchia sono ancora visibili segni della comunità siciliana. Quella
che fu un tempo “La Pétite Sicile”.
Gironzolando nella
parte più vecchia, un anziano ci viene incontro con un grosso mazzo di foto:
quelle de La Goulette antica, abitata e fondata dai siciliani. Qualcosa sa, ma
giusto per venderci le foto. Alcune le compriamo. Tutto costa molto poco in
questo Paese. Un caffè non supera in media i 30 centesimi.
NEL POMERIGGIO: giorni prima avevamo fissato un
appuntamento con due anziani abitanti di un villaggio rurale italiano, oggi
soltanto arabo. Dopo l’espropriazione delle terre nel 1962, Giovanni e Berta vivono
a Ben Arous, un comune a pochi chilometri da Tunisi. Arriviamo. Loro ci
aspettano. La casa da fuori è diversa dalle altre: ha il tetto spiovente e le
tegole. Cosi si distinguevano le case italiane da quelle tunisine.
Entriamo in casa.
Entriamo in un’altra epoca. Almeno negli anni ‘50. Quando anche da noi si
esauriva un mondo per lasciare il passo ad uno più moderno. Anche all’interno,
per quanto alcuni influssi arabi siano presenti, la casa è come quella delle nostre nonne. C’è un giardino interno.
Loro hanno ricreato in miniatura ciò che avevano in passato: la terra. Oggi è
un orto di pochi metri quadri, un bel po’ di galline, tante cose affastellate in
mezzo.
Sono stati
espropriati e non hanno rinunciato a quel mondo, che è loro. Sono nati in
Tunisia.
Italiani di
Tunisia. Una terra di mezzo.
Tutto ciò emerge
dai racconti che filmiamo.
La sera siamo di
nuovo a La Goulette a cena con Fausto Giudice e Hamadi, un giornalista che ha
lavorato in passato per Liberazione. Ceniamo a LA SPIGOLA, ristorante
siculo-tunisino.
14-02-2012
La mattina ritorniamo
nei luoghi di Amor, il contadino che ci aveva aiutato nella ricerca delle
fattorie italiane.
Tornare casa sua è,
per me e Laura, qualcosa di speciale, davvero difficile da raccontare. Un
pranzo semplice a base di “SHAWARMA”, olive, uova di galline appena raccolte.
L’impasto dello Shawarma lo prepara sul
momento una delle donne della famiglia, che coinvolge Laura nella preparazione.
Io giro con uno dei bambini per la casa, col baglio al centro, le stanze, le
stalle, i pollai. Ci capiamo appena ma stiamo bene. Siamo felici tutti.
Non continuo nella
descrizione. Lascio all’immaginazione. Certe cose vanno oltre la narrazione e
appartengono all’intimità.
Il paesaggio intorno
è a perdita d’occhio. Quella dimensione non ha tempo.
15-02-2012
Ancora nelle zone
del contadino Amor.
Da quelle parti cerchiamo
ancora la “nostra” casa. La cerchiamo da giorni in verità. Per me è un po’ il
simbolo del viaggio e ne sottolinea il senso.
Oggi il cielo è
leggermente più aperto. C’è stato molto freddo e il cielo è stato sempre grigio
o molto nuvoloso. Con poche aperture di sole. Quelle giornate che ti fottono le
riprese, perché se sei al meglio dell’inquadratura e hai stabilito i parametri
di’esposizione della luce della videocamera, una nuvola nera di pioggia che
copre il sole, ti costringe in pochi secondi a cambiare le tue scelte,
rischiando a volte di rovinare il risultato.
Ma oggi si deve
trovare quella vecchia casa di campagna. Seguiamo alcune indicazioni precise,
dai nomi affascinanti. Entriamo in una zona chiamata “Le Barrage”, la diga.
Sappiamo che seguendo questa strada potremmo trovare qualcosa. Inshallah,
dicono da queste parti. Lo diciamo ormai anche noi. Funziona!
La strada taglia un
paesaggio straordinario. Con una montagna blu, meravigliosa. E ulivi e fico
d’india e agavi.
Zone poco abitate.
Di tanto in tanto contadini e greggi di pecore e montoni. Ci si saluta tutti.
Noi continuiamo la
ricerca testardamente. La strada è buona, ma poi diventa fangosa. Siamo sempre
più interni e distanti dall’asfalto.
Altri paesaggi si
aprono davanti a noi. Poi, come in un film, un fuoristrada e due tizi. Ci fermiamo.
Da finestrino a finestrino. Cerchiamo la casa della famiglia italiana, domandiamo.
Sono due case vicine. Loro dicono che siamo arrivati. Eravamo certi “Ancora un
più avanti sulla destra” Shukran, Einshek barsha”.
Facciamo altra
strada ma di sentieri sempre più stretti sulla destra ne incontriamo diversi.
Sembra che non si arrivi mai. C’è suspence, proprio come in un film.
Poi tutto di un
colpo eccola la casa diroccata col tetto a spiovente e le tegole rosse. Quello
è il simbolo di una famiglia che ha vissuto e faticato per anni. Noi ci siamo
arrivati. E ci rimanda a molte cose lette. Scendiamo dalla macchina. Per
raggiungerla si va a piedi tra il fango. Non stiamo molto tempo. Si è fatta
sera per cercarla. Ore di ore. Ma siamo arrivati.
Ora si inizia
davvero.
Filmo. E sono
contento.
Questo viaggio
adesso è soltanto l’inizio di una strada nuova che vogliamo percorrere. Ed ha
mille volti.
Enrico Montalbano
15 Febbraio 2012
12 febbraio 2012
DIARIO TUNISIA - numero uno: SHOUSHA CAMP
Tunisia -
diario di un viaggio, febbraio 2012
Io e Laura
Verduci partiamo per la Tunisia, dopo circa un anno di lavoro legato alle tematiche
storiche delle migrazioni da, e verso la Tunisia.
VISIONI:
E’ possibile
arrivare in un posto e non essere trascinati immediatamente nella narrazione.
Si. Qualsiasi cosa e dovunque si narra come fa
la corrente del fiume che non si zittisce mai.
Ma ci sono
posti come la Tunisia o la Sicilia che travolgono lasciandoti senza fiato.
Il viaggio ha
due direzioni e non solo fisicamente: i viaggi sono due e si intrecciano.
L’arrivo lo salto
in questo diario. Anche se gli arrivi sono le porte di ingresso. Dico soltanto
che ad aspettarci alla Goulette c’è Marta Bellingreri, che conduce diverse
ricerche sulle tematiche delle migrazioni e vive a Tunisi per adesso.. Siamo
ospiti da Fausto Giudice. Un traduttore, un giornalista, un eclettico. Parla 10
lingue forse, comunque tante. È figlio di italiani nati a Tunisi. Lui sarà una
delle voci narranti per la ricerca che sto conducendo sulla storia degli
immigrati siciliani in Tunisia, finalizzata alla realizzazione di un
documentario, che intreccia queste memorie ad un mio personale percorso.
Domenica
Tunisi. Il lunedì partiamo per SHOUSHA CAMP: un campo profughi messo su dalle
Nazioni Unite in accordo con il governo Tunisino, per accogliere i fuoriusciti
civili, la maggior parte neri africani, dalla Libia durante e dopo il
conflitto.
Entriamo a
Shousha il 7 febbraio 2012. In auto, quella di Laura Verduci, che abbiamo
imbarcato da Palermo.
SHOUSHA CAMP si trova praticamente nel deserto a settecento kilometri da Tunisi, nel
sud, ai confini con la Libia.
Da Tunisi il
paesaggio cambia gradualmente fino a diventare africano.
Attraversiamo
decine e decine di posti tra città e villaggi,
specialmente quelli che, una volta abbandonata la autostrada, ti trovi a
tagliare su una route che arriva più o meno dritta fino a Ben Garden, la città´di
frontiera, l’ultima prima del confine libico e più vicina al campo profughi.
Dormiamo a Ben Garden.
Durante il
viaggio ci fermeremo per una sosta, ospiti a pranzo da una famiglia che Marta
conosce. Una ospitalità´grande. Couscous, caffè arabo, Kenoun per riscaldarsi
le mani.
Durante il
viaggio lungo la strada chiunque vende tutto. Davvero tutto. Chi benzina, chi
frutta o bevande o pane. Immaginate.
Ma torniamo a
Ben Garden. Arriviamo di notte. Ad aspettarci due ragazzi di ONG che erano
entrati già al campo e che ci informano su diversi aspetti. Per quanto già
forte come impatto l’arrivo notturno, sarà incredibile come, dopo poche ore di
sonno, ci apparirà il paese l’indomani mattina.
Saranno le
solite visioni occidentali forse che ti assalgono: il modo di vita, i vestiti
tradizionali portati quotidianamente, le botteghe, i colori, gli odori. Ma la
cosa che emerge più forte è sentire che questo villaggio grande è diverso da
altri. Siamo in Libia, anche se il territorio è interno ai confini tunisini. Ma
è alla Libia che pensi quando ti rendi conto di essere in una dimensione più
sconosciuta e chiusa. E’ un pullulare di affari. Gente sventola mazzi di soldi
tunisini o libici per il cambio. Lungo il ciglio della strada, tra un brace con
carne di montone e un altro negozio di fortuna che ti vende benzina,
elettrodomestici e ancora cambio di soldi. Sbucano fuori da ogni parte. Gente
dalla faccia scolpita e scura. Brutti ceffi dicono da altre parti della
Tunisia. Ci chiedono: “ siete stati a BEN GARDEN?” – ridono.
A Ben Garden
non si vedono turisti occidentali.
Anche se il
paesaggio è cosi bello e affascinante. Striature di sabbia sull’asfalto.
Sabbia.
Intorno e andando poi verso Shousha Camp, quando ti lasci alle spalle gli
ultimi mercanti sulla strada, vedi una distesa gialla e poi bianca all’orizzonte.
Il deserto comincia lì. Te lo annunciano immediatamente i dromedari sulla via
che incontri. Quelli li vediamo entrare e uscire dal Campo Profughi. I cani gli
abbaiano. E i dromedari se ne fottono.
Infatti la
mattina dopo l’arrivo e dopo aver dormito in un albergo molto arabo, partiamo,
dopo poche ore di sonno alle spalle, per il Campo.
Dopo aver
attraversato tutto quello che vi dicevo, alcuni kilometri prima di Shousha
veniamo fermati a due, tre ceck point dell’esercito Tunisino. Ci fermeranno
soltanto quelle volte. Poi saremo per sempre una delegazione di giornalisti
italiani, e non ci fermeranno più. Un saluto guardandoci negli occhi, e via…si
passa, si spassa e si ripassa…Ben
Garden verso Shousha e viceversa.
Il Campo si
presenta come una immensa tendopoli in mezzo alla sabbia più sabbia. E’ cosi
grande che si vede già kilometri prima. Impressionante.
Decidiamo di
entrare, abbiamo una camera e un microfono.
Ci dicono di
parlare col colonnello, responsabile del campo. L’esercito comanda. La polizia,
dopo la caduta di Ben Ali, non è tanto credibile. I militari sono dovunque.
Entriamo nella
loro tenda. Il colonnello è diretto e ci dice: non entrerete mai senza un
autorizzazione ministeriale.
In un attimo
siamo già fuori. Intanto è impossibile fare riprese. Una tempesta di sabbia ci
accoglie e ci avvolge sin dal mattino.
Siamo attenti,
ma mai davvero tesi. Tutto viene affrontato con calma e decisione. Abbiamo
contatti con persone dentro il campo. Lungo la recinzione esterna dello stesso,
tunisini di Ben Garden e migranti, ormai abitanti di lungo corso, hanno
organizzato un mercato di tende in cui si vende di tutto ciò che può servire.
Dei tunisini, ci diranno di lì a poco, che sono anche spie dell’esercito.
Guardano e riferiscono. E’ difficile comunque fare riprese, non solo per la
tempesta di sabbia. Capiamo di essere monitorati e controllati costantemente.
Intanto
arrivano fuori alcuni africani che sapevano del nostro arrivo. Questi ci
raccontano molto. Filmiamo dentro una tenda
tra le tende del mercatino. Una vuota, abbandonata, dell’UNHCR.
Shousha
infatti è un campo UNHCR. Quest’ultimo si occupa delle richieste di asilo e
resettement, cioè il reinserimento delle persone in altri stati, anche europei.
Tutto con lunghe attese.
Sono presenti
altre organizzazioni: OIM, CDR, UNICEF, ecc..
Tra un andare
e venire dal campo, in attesa di una risposta relativa all’accesso che non arriverà
in giornata si è fatta sera. Siamo ancora lì fuori. L’esercito ci guarda ma non
ci molesta.
Decidiamo di partire
per Zarzis, dove abbiamo un incontro e una cena. 100 kilometri. Ma al campo
bisogna tornare a tutti i costi la mattina dopo.
La sera siamo a Zarzis, ceniamo e dormiamo di
fronte il mare, quasi sulla spiaggia. L’indomani, entriamo a Shousha. Entriamo
perché ci muoviamo all’interno, diciamo così, di sistemi di relazione e del
nostro savoir faire
A guidarci
dentro il campo, su una jeep, un responsabile dell’ UNHCR.
Una emozione
di nuovo forte.
Io filmo.
Quando filmo sono strumento.
Devo prendere
quel che posso.
Ci danno un
tempo molto limitato.
Riusciamo ad
entrare pure in qualche tenda, tra mamme e bambini simpaticissimi, con i quali
troviamo, in quello spazio ridottissimo e narrazioni drammatiche, il tempo di
giocare e guardarci.
Passiamo
attraverso la tendopoli velocemente. Si ha la dimensione di un villaggio in cui
la gente prova ad organizzare la propria quotidianità, originale e spontanea
rispetto quella guidata dai veri percorsi che il sistema ha confezionato per
loro: la scuola, la mensa, i vestiti, ecc..
Vorremmo fare
di più,
Avere molto più
tempo.
Non entreremo
nelle tende, ma percepiamo tanto. Comunque una tenda è un luogo in cui riversi
tutto quel che possiedi in quel momento.
Le Tende si somigliano. In Sicilia ne abbiamo viste tante e con più
facilità.
Immaginate.
Qualcuno di noi tre giura di avere visto tra le tende e la rassegnata
disperazione, una antenna satellitare e chissà cos’altro ancora. Il deserto si sa
ti fa vedere cose..
Tante le
persone di diverse nazionalità ed etnie. Una babele di linguaggi.
Siamo stati lì.
A Shousha
Camp.
In quel tempo abbiamo provato a guardare negli
occhi chi in quella “città” forse ha paura di restarci troppo tempo.
LASCIAMO
SHOUSHA. CI PENSEREMO ANCORA A LUNGO.
INIZIAMO LA
RISALITA VERSO TUNISI. LASCIAMO MARTA A MEDNINE. NOI PROSEGUIAMO. NOVE ORE DI
VIAGGIO CI ASPETTANO. ARRIVEREMO A NOTTE FONDA.
arrivederci al prossimo diario...
Enrico Montalbano
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